domenica 5 ottobre 2014

Medea, ovvero Beatrix Kiddo secondo Euripide

Quest'oggi, miei prodi amici e compagni di avventure, vi narrerò di una delle donne che voi studenti di liceo  classico sicuramente avete sentito nominare una quantità di volte tale da farvi venire la nausea. 
Medea! 
Colei che più di tutte ci dimostra che cosa una donna in premestruo possa fare.
Medea è uno dei drammoni greci per eccellenza, uno dei più famosi sicuramente, e quello di cui tre quarti delle persone che lo citano conoscono solo il finale. 
Del quale, per il restante quarto delle persone, non farò alcuno spoiler.
Ma la tragedia è ben più complessa, indipercui faremo una breve introduzione storica a riguardo. 
Siamo nel 431 a.C., quando ancora windows 7 non esisteva e le persone non indossavano le Hogan (ah, bei tempi), e il buon Euripide presenta Medea, assieme ad altre due tragedie orapurtroppoandateperdute alla gara delle tragedie di Atene, altrimenti detta Grandi Dionisie. 
Euripide è l'ultimo – cronologicamente ultimo – dei tre grandi tragici greci; dai che la sapete anche voi “Eschilo, Eschilo che qui si Sofocle ma attenzione che le scale sono Euripide”. 
A lui, oltre che l'introduzione del terzo attore ( sì avete capito bene. Tre attori. E BASTA! 
Ciao Melissa Satta, ciao Scamarcio, ciao Fabio Volo, la tragedia greca non vi vuole ), dobbiamo un maggiore interesse per i sentimenti dei suoi personaggi (bello il mio romanticone! Cit.), una tragedia più variegata nelle sue sfumature, un intenso ed agguerrito utilizzo del deus ex machina e il cosiddetto sgretolamento del concetto di eroe tragico (in effetti Edipo aveva anche scassato i tre quarti...) che porta così alla ribalta personaggi come Andromaca, Fedra e la nostra beniamina, amante fedele e mamma affettuosa, Medea. 

Medea non è altri che la figlia di Eete, sovrano della Colchide, che si imbatte nel bel Giasone quando costui si sta dibattendo per mari e monti alla ricerca del Vello d'oro (una specie di copertina di pelle sbrilluccicosa in grado di curare le ferite). 
La cara Medea aveva tante doti affascinanti; era bella, interessante, intelligente, sapeva un sacco di barzellette sui carabinieri, era anche un po' strega (no, non antipatica! Con i poteri maGGici! ) però era un po' ingenua; infatti si innamora a prima vista del bel Giasone e decide di aiutarlo a fuggire con la copertina sbrilluccicosa, anche se per farlo si vede costretta ad uccidere il suo stesso fratello per poi fuggire assieme al suo nuovo, fascinoso e, come scopriremo a tempo debito, assai ingrato nuovo spasimante. 
I due così si allontanano assieme a bordo della nave Argo e la cara Medea, pur di soddisfare la brama di Giasone si vede costretta a sfruttare le sue arti magiche per consentire all'amato di ottenere il tanto desiderato trono che gli era stato a suo tempo promesso dallo zio Pelia. 
Raggira quindi le figlie del re (lo zio di cui sopra) e le convince a ringiovanire il padre in un modo pratico e tutt'altro che invasivo: facendolo a pezzi e bollendolo. E c'è chi dice che il lifting è doloroso. 
Il figlio di Pelia che a differenza delle sorelle si accorge del misfatto,  decide così di cacciare i due fidanzatini e di bandirli costringendoli a rifugiarsi a Corinto dove i due, per non saper né leggere né scrivere, convolano a giuste nozze. 
Ed è qui che il buon Euripide comincia a raccontarci il tutt'altro che lieto seguito della vita coniugale di Medea. 
Sono passati ormai dieci anni, la coppia ha avuto due splendidi pargoletti e vive abbastanza felicemente nella ridente cittadina di Corinto; quand'ecco che Creonte, re di Corinto, decide che com'è come non è sarebbe carino dare in sposa la sua splendida figlia Glauce al bel Giasone per fa sì che egli diventi il suo successore sul trono. 
Giasone così ci pensa per svariati secondi e decide che sì, questo matrimonio s'ha da fare! 
Si reca quindi a dirlo a Medea la quale, come dire, non la prende proprio benissimo. 
La piccina infatti si dispera. 
Ma come? Mi ripudi? E io cheffaccio? Mi hanno cacciato dalla mia casa, ho massacrato persone per te, ho ucciso mio fratello, i miei pesci rossi e il gatto dei vicini, dove andrò? Che farò? Che ne sarà di me?

Medea si dispera facendo cose maGGiche. E non si dica che le donne non sanno fare più cose in contemporanea. 

Ma lui niente, impassibile ed insensibile come il peggiore degli uomini egocentrici e palestrati le dice che no, casa mia, regole mie, e và anche a pulire in terra che il cane ha vomitato. 
Medea a quel punto si trova in una situazione che tutte le donne lasciate in malo modo tendono ad attraversare, ossia: mi metto davanti alla tv con una scatola di gelato da mezzo chilo e guardo film tristi per piangere tutte le mie lacrime fino a prosciugarmi, oppure medito una tremenda vendetta a sangue freddo che provochi vittime e disperazione in coloro che mi hanno fatto soffrire? 
Non essendoci ancora la tv né il gelato confezionato la cara Medea verte sulla seconda ipotesi. 
Vendetta!
Per prima cosa parla con Egeo, re di Atene, chiedendogli se percaaaso lui sarebbe disposto ad ospitarla nella sua città. Lui le dice che non c'è problema e quindi Medea mette in atto il suo piano malvagio. 
Per prima cosa si finge rassegnata all'idea di essere ripudiata dal marito e manda una splendida veste alla futura sposina, la quale la indossa subito trepidante ed emozionata. La poverina però non sa che la veste in questione è intrisa di veleno e subito dopo averla indossata si trova in preda a dolori strazianti che la porteranno, di lì a qualche minuto, al suo inevitabile decesso. Il padre, Creonte, corso in aiuto alla figlia, tocca a sua volta il mantello e, manco a dirlo, muore anche lui in preda ai peggio dolori. 
Ma per farla pagare a Giasone, Medea raggiunge l'apice della sua crudele ed atroce vendetta, sceglie infatti di uccidere i suoi stessi figli, per fa sì che egli non abbia discendenza e poi fugge su un carro trainato da draghi alati verso Atene, lasciando Giasone con un palmo di naso, solo e senza figli, con l'idea che forse Marco Ferradini non aveva capito una fava.

The (happy) end.

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