giovedì 9 luglio 2015

H. P. Lovecraft e la sua adorabile mamma


Howard Phillips Lovecraft nasce il 20 agosto del 1890 a Providence. Ovviamente, tappa immancabile nella vita di ogni scrittore, quando il piccolo Howard ha soli 3 anni, il padre comincia a manifestare segni di una psicosi, verrà ricoverato in un ospedale psichiatrico e morirà 5 anni dopo per sifilide. Così la mamma prende il figlioletto di otto anni e va a vivere dai nonni, dove ci sono anche le sue due sorelle. Il nonno Whipple lo farà appassionare alla letteratura gotica, gli farà leggere le fiabe dei Fratelli Grimm, Le mille e una notte e delle riduzioni per ragazzi dell'Iliade e Odissea.

Riduzioni per ragazzi? Pezzente!
È a questi anni che risale la sua invenzione del Necronomicon, un testo di magia nera scritto da Abdul Alhazred, un arabo pazzo vissuto a Damasco nell'VIII secolo e morto fatto a pezzi da un essere invisibile.

Qui sopra una foto del nonno Whipple:
 “Vieni Howie, visto che sei triste ti faccio leggere qualcosa di Poe che così ti tiri un po' su.”

Negli stessi anni il giovane Lovecraft comincia a fare amicizia coi suoi coetanei, ma la mamma cercherà immediatamente di porre un freno a questo suo comportamento assolutamente inaccettabile con la seguente scusa: “Ma Howie, cosa esci a fare di casa: non vedi quanto sei BRUTTO?”

Il povero Lovecraft all'età di 8 anni.
Quando nel 1897 la nonna materna muore, il giovane Lovecraft reagirà come tutti reagiscono davanti alla perdita di un progenitore: facendosi perseguitare nel sonno da dei demoni notturni. Aveva provato a seguire l'esempio di uno dei suoi scrittori preferiti (Edgar Allan Poe) andando a piangere sulla tomba di lei nelle notti tempestose, ma presto Lovecraft si renderà conto di trovarsi molto più a suo agio a farsi tormentare da mostri immaginari.
 "Mostri immaginari. Bitch, please."
Nel 1900 comincia ad avere i primi esaurimenti nervosi e quando nel 1904 il nonno muore, la famiglia si ritroverà in gravi difficoltà economiche. L'anno successivo una trave cade in testa al nostro protagonista, condannandolo a mal di testa cronici per il resto della sua vita.
Nonostante la vita difficile il giovane Lovecraft cerca di tenere duro e comincia a pubblicare su una rivista di astronomia a soli 16 anni, frequentando nel frattempo anche il liceo. Purtroppo, nonostante la grande forza di volontà, non riesce a rimanere a scuola a causa dei sempre più frequenti esaurimenti nervosi, e nel 1909 sarà costretto ad abbandonare del tutto. Pur avendo avuto gravi difficoltà in matematica, Lovecraft in questi anni sviluppa una profondissima conoscenza in storia, linguistica, chimica e astronomia.
Come nella storia di ogni scrittore maledetto che si rispetti, nel 1911 la famiglia cade definitivamente in disgrazia per non uscirne mai più. Fortunatamente Lovecraft troverà lavoro come correttore di bozze. In questi anni rimarrà recluso in casa assieme a sua madre, uscendo soltanto di notte e passando il resto del tempo a scrivere ma senza avere mai il coraggio di proporsi come scrittore.
Solo nel 1916 pubblica The Alchemist e comincia a dare vita alla sua fitta trama di corrispondenze con altri scrittori: fra i suoi amici di penna Robert Bloch (l'autore di Psycho, per intenderci) e Robert E. Howard (l'autore di Conan il Barbaro).
Ma siamo ormai nel 1917 e ta-dan! Scoppia la prima guerra mondiale e Lovecraft ha deciso: entrerà nella guardia nazionale di Rhode Island! Oh! Sogni di gloria militare!
La vedova Lovecraft ovviamente però glielo impedisce: “Ma Howie, lo faccio per te! Hai idea di quanto saresti ancora più INGUARDABILE con la divisa militare addosso? E poi cosa fai, mi lasci qui da sola, vedova, senza soldi...” e quindi Howard non ci va.
Nel 1919 la madre viene ricoverata per poi morire due anni dopo in ospedale. Lovecraft reagisce come chiunque reagirebbe davanti alla morte di una madre così adorabile.

LET'S PARTY!

Lovecraft comincia a partecipare a conferenze, legge racconti in pubblico, viaggia, intrattiene una relazione con una tale signorina Sonia (epistolare, vorremo mica esagerare con 'sta botta di vita che il ragazzo è cagionevole e poi ci rimane secco), comincia a scrivere per la rivista Weird Tales.


Nella foto qui sopra Lovecraft sfoggia uno dei suoi sorrisi migliori.
Il 3 marzo del 1924 finalmente lui e la signorina Sonia si sposano e si trasferiscono insieme a Brooklyn.
Poco dopo, la moglie, da cui derivava il maggior sostentamento economico, perde il lavoro e si ammala. Arriva quindi il momento in cui Lovecraft deve rimboccarsi le maniche e fare la parte dell'uomo di casa: comincia a mandare cv a destra e a manca, ma niente: ormai ha 34 anni e nessuna reale esperienza lavorativa alle spalle.
“Quindi, cosa sai fare?”
“So scrivere.”
“Ok, e poi?”
“No ecco. E poi basta. Però scrivo bene eh.”
Fortunatamente gli viene offerto un posto come direttore di Weird Tales. Sembrerebbe il lavoro perfetto. Sembrerebbe la soluzione ideale.
E lo è.
Quindi Lovecraft rifiuta il posto: “Chicago è lontana e io sono troppo vecchio per un trasloco così difficile” (34 anni, ricordiamo).
Così la moglie è costretta ad accettare un lavoro che la porta a viaggiare di continuo e a mandare gli assegni di mantenimento al marito, il quale deciderà alla fine di tornare a vivere a Providence. Qui scriverà tantissimo fino a essere notato da Harry Houdini, il quale gli commissionerà un racconto e deciderà di provare ad aiutarlo con la sua disastrosa vita. Ma poi muore prima di poter fare alcunché.

Oh, io ci ho provato.
Lovecraft non tenta di vendere i suoi racconti e quelle poche volte in cui ci prova finisce per scoraggiarsi al primo rifiuto, arrivando addirittura a non richiamare gli editori interessati.
Nel 1937 gli viene diagnosticato un tumore all'intestino, e ne morirà nel marzo dello stesso anno.
Sepolto nella tomba di famiglia, i fan gli pagheranno una sistemazione più interessante con una lapide tutta sua, con l'epitaffio: “I AM PROVIDENCE”.



Dopo una settantina d'anni dalla sua morte qualcuno ha cercato di dissotterrare il corpo, pensando di trovarlo sotto la nuova lapide.
Insomma, c'avrà avuto una vita di sfiga, ma se cercano di rubare il tuo cadavere sai che sei arrivato almeno almeno al livello di Mike Bongiorno.

Dai Howard, allegria!

martedì 9 giugno 2015

Zio Vanja: l'elogio alla depressione cronica in quattro atti

Siamo in Russia, in mezzo al nulla, c'è bel tempo, non fa nemmeno caldo. 
Per primo si palesa uno dei personaggi della storia, un tizio che si spaccia per un dottore, che sarà oggi interpretato da Clint Eastwood.

La scelta di questo membro del cast non troppo Cechoviano è giustificata dalla di lui camminata a passi lunghi che tanto ci ha colpito in una recente rappresentazione. L'attore in questione ha poi tentato di discolparsi con un "gli stivali erano troppo larghi". Ma ormai era troppo tardi. Ce lo ricorderemo così.

Il dottore, dicevamo, comincia a lamentarsi con Marina, la balia, di quanto sia palloso fare il dottore (braccia rubate all'agricoltura insomma).
Poco dopo, ad interrompere questa avvincentissima conversazione, l'allegro protagonista della nostra vicenda entra in scena zompettando: egli è zio Vanja, il cui nome completo è Ivan Petrovic Vojnickij, ma che noi continueremo a chiamare Vanja per far prima.
Anche lui, guardacaso, comincia a lamentarsi di quanto la vita nella sua casupola nel mezzo della steppa sia diventata poco ordinata da quando ci vivono anche il Professore (un vecchio dal nome impronunciabile) e la sua seconda moglie Elena.
Vanja infatti ha una poco velata insofferenza nei confronti del Professò e un'altrettanta poco velata cotta-pseudoadolescenziale nei confronti della di lui seconda moglie.
Elena infatti è bella, giovine e simpatica come un frullatore acceso in un occhio, ma a quanto pare Vanja sembra conscio solo dei primi due aspetti.
Mentre Vanja è lì che se la chiacchiera e che lancia critiche a raffica senza alcun ritegno, arriva Maria, la di lui mammina, che dal canto suo invece ammira un sacco il Professore e quindi lo sgrida: smettila di fare questi commenti e vai a riordinare la cameretta, oppure stasera niente dolce. 


Va bene mamma, vado.

Lui, nel dubbio, prima di andare a ripiegare i calzini e ad attaccare poster di Batman, decide di intrattenersi con Elena e di dichiararle il suo ammore; bel tentativo Vanja, peccato che faccia un colossale buco nell'acqua. Lei infatti gli rifila un due di picche grosso come una casa e lui va a leggere i fumetti da solo e un po' abbacchiato.
A questo punto scopriamo l'effettiva utilità di Clint; era stato chiamato dal Professore perché gli faceva un po' male una pellicina del piede destro.
Tuttavia, dopo avergli fatto fare i km a cavallo del suo mustang con un poncho e un sigaro in bocca, ha deciso che no, in effetti io dei dottori non mi fido mica, mi prendo una supposta di Voltaren e va tutto a posto.
E Clint rimane lì, con un palmo di naso, e si lamenta (strano). Questa volta però, invece che tediare la povera Marina che aveva da stirare e cambiare la sabbietta al gatto, decide di spaccare le balle a Sonja, la figlia di primo letto del Professore che guarda un po' è innamorata di lui.
Peccato che la poverina sia un cesso a pedali e il Cowboy non se la caghi di pezza mentre lei lo guarda con gli occhietti a cuoricino. 
La storia è iniziata da cinque minuti e siamo al secondo due di picche; questo ci fa ben presupporre per il proseguo della vicenda.
Finito lo strazio dell'ennesimo amore palesemente non corrisposto, arriva il tramonto e il Professore, che come tutti gli anziani mangia semolino alle sei di sera e ha sonno alle otto, va a coricarsi, mentre Vajna e Elena rimangono nuovamente soli. 
Lui un po' ci prova, lei fa la gnorri, lui un po' ci rimane male, ma fa il sostenuto e finge che vada tutto bene.

Non starai mica piangendo? No no, è che mi è entrata una bruschetta nell'occhio.

A quel punto arriva Clint Eastwood che è ovunque come il prezzemolo e cerca di tirare su l'amichetto.
Ci facciamo uno spritz?
Facciamo un long island?
Facciamo due?
Bella!
Piccola parentesina: in tutto questo, fino ad adesso,qua e là si è palesato un ulteriore personaggio pressochè inutile che risponde al nome di Iija Ilic Telegin, un babbeo che non si capisce bene che scopo abbia all'interno della vicenda se non quello di ciondolare e di far provare pietà per sé.
Non serve a niente, ma noi lo ricordiamo perché in fondo un po' ai personaggi inutili vogliamo molto bene, alla fine Cechov è come il maiale, non si butta via niente.
Chiusa la parentesina.
Così, mentre Vanja e Clint si sparano una gara a chi vomita per primo (Vanja soffre un po' di gastrite e perde), arriva la piccola Sonja che continua a guardare con occhietti adoranti il dottore, lui è ubriaco marcio, ma nonostante ciò non se la fila di pezza, questo ci fa capire che la povera stella deve essere verosimilmente somigliante a Mariangela, la figlia di Fantozzi. Lui infatti sta un po' lì, dice due cazzate, svuota la dispensa e le da una stretta di mano. Lei allora decide di scrivere a Cioè per sapere se questo possa essere considerato un tentativo di approccio, ma la sua domanda non viene pubblicata. Peccato.
Appena Clint si congeda barcollando, arriva Elena-quella-simpatica e in quanto surrogato di madre comincia a fare la carina tanto da intortare Sonja la quale decide di fidarsi di lei.
Bella cazzata.
Altro giro, altro atto, altra scena, e troviamo Elena, Sonja e Vanja tutti riuniti perchè il Professore c'ha da fare un discorsetto.
Vanja, che ormai si è impuntato, ci prova di nuovo con Elena prendendosi l'ennesimo due di picche in piena faccia, però decide che questa è la volta buona; mò le porto dei fiori, due cioccolatini e tutti i cofanetti di Sex and the city e vediamo se mi dice ancora di no.
Rimasta sola con Sonja, Elena le fa una proposta: senti Stellina, facciamo una cosa, ci vado a parlare io con Clint, così capiamo se si può organizzare un appuntamento al buio e magari 'sta storia finisce bene.
Sonja, che è pura di cuore e sveglia come un riccio morto in autostrada, le risponde di sì tutta contenta.
Elena dice stai serena che ci penso io. 
Sonja dice evviva.
Il sottotesto di questa scena è CREDICI! 
*musica di suspense*
Ed eccoci quindi al momento della verità.
Il Dottore e Elena si trovano a parlare soli;
Ti piace Sonja?
Sonja chi?
Vabbè.
A quel punto lui fa lo splendido, lei la vergine di ferro.
Io sono migliore e molto più nobile di quanto lei creda, dice lei, sì certo, diciamo noi.
Infatti questa farsa del "io sono brava, casta e onorevole" dura più o meno due secondi fino a quando i due non cominciano a limonare come adolescenti in crisi ormonale. Abbiamo detto, Sonja chi?
A questo punto entra Vanja che li interrompe sul più bello.
IMBARAAAAZZZOOOOO.
Il Dottore, che come ogni Cowboy ha il dono di saper padroneggiare qualsiasi situazione sconveniente, da un colpo agli speroni e sparisce in una nuvola di fumo, mentre Elena, mascherando il disagio con qualche colpetto di tosse,  dice che, com'è come non è, s'è deciso che noi si va a vivere altrove. (Noi = Elena e il Professore, mica Elena e Clint, che avevate capito, mica è un Harmony signori miei.)
A questo punto, per aggiungere altro diagio a quello che già si era creato, arriva pure Sonja che scodinzola come un cagnolino fino a quando non coglie l'antifona e capisce che no, non c'è speranza: non diventerà la signora Eastwood. Che poi, ragazza mia, ma Cenerentola non ti ha insegnato a non fidarti delle matrigne? Santapazienza! 
A questo punto però succede un gran casino; arriva il Professore che si mette a litigare con Vanja: io voglio andare in Finlandia con Elena e comprare un Suv.
E io dove vado?
Non so e non mi interessa.ome 
Ah!
Vanja fa lo gnorri e se ne esce tutto incazzoso, al suo rientro è armato di pistola e cerca di colpire il Professore. Lo manca due volte su due. 
Clint scuote la testa sconsolato; dovevo accettare la parte in quel film con John Wayne.
A Elena viene una mezza crisi isterica immotivata, c'è un po' di parapiglia, ma poi tutti si rilassano e fanno pace.
Vanja nel dubbio pondera il suicidio con della morfina ma, strano ma vero, non gli va bene nemmeno questa e il Dottore lo obbliga a restituirla.
Tutti se ne vanno e Vanja rimane solo con Sonja.
I personaggi più tristi e sfigati della vicenda; i due per tirarsi un po' su decidono di fare un po' di contabilità. Questo ci fa capire che gli svaghi, in Russia, a quei tempi, non erano molti.
Per coronare la depressione Sonja dice che va tutto bene, in fondo, alla fine di questa vita di merda, c'è pur sempre la morte.
AH BEH!

Ora scusate, m'è venuta la tristezza e vado a scofanarmi una vaschetta di Haagen-Dazs con dentro un flacone di benzodiazepine. 

domenica 17 maggio 2015

Il mercante di Venezia, ovvero "dietro ogni grande uomo c'è una grande donna che alza gli occhi al cielo"


Siamo a Venezia, ed ecco che incontriamo il primo dei protagonisti di questa amabile storia.
Il suo nome è Bassanio; cosa sappiamo di Bassanio? 


Oltre ad aver avuto dei genitori poco gentili che gli hanno affibiato tale nome, egli è un giovane gentiluomo single e prestante, e avendo ormai passato da tempo l'età del limone duro in discoteca ha deciso che è giunta l'ora di accasarsi e di trovare una moglie che gli cucini il polpettone e si lamenti quando lascia la tavoletta del water alzata.
Così, giusto perché ha sentito parlare di una che sta a Belmonte e che chiede 3000 ducati per tentare il suo corteggiamento, lui decide che sì, si può fare. In fondo con 3000 ducati non ci compri nemmeno una Yaris.
Già, peccato che il buon Bassanio tutti 'sti soldi mica li ha e così è costretto a chiedere un piccolo prestito al suo amico Antonio.
Antonio dal canto suo è un mercante ed è segretamente innamorato di Bassanio (così dicono le fonti, noi ci fidiamo) e sarebbe dispostissimo a fare questo prestito al suo caro amichetto, se non fosse che, com'è come non è, ha investito tutti i suoi danari nei suoi commerci marittimi e in quel momento si trova, come dire, un pochino al verde.
Ma non c'è problema my sweet Bassanio, dice Antonio facendo la ruota come un pavone, ghe pensi mì. 
Tu stai sereno che adesso chiamo un amico mio e risolviamo tutto.
L'amico in questione, che poi tanto amico non è, è l'usuraio Shylock; un tizio piuttosto unto e sporco che ce l'ha a morte con Antonio perché gli ruba tutto il lavoro prestando danaro senza interessi (pirla!).
Tuttavia, nonostante il poco buon sangue che scorre tra i due, Shylock decide che sì, dai, prenditeli 'sti 3000 ducati, anzi, facciamo 3500 così vai anche a comprarti qualcosa di carino.
C'è solo qualche piccola clausola e... come dire, un paio di postille.


Io ti do i soldi che chiedi, in cambio, buon Antonio, in caso di mancato pagamento tu mi darai una libbra della tua stessa carne. Così, perché devo farmi due cotolette e non c'ho sbatta di andare dal macellaio.
Antonio dice Bella!, i due si stringono la mano e affare fatto.
Meanwhile a Belmonte la bella Porzia è lì che si sta sfrantegando un po' i maroni.


Suo padre, defunto, ha deciso che la figliuola adorata possa essere chiesta in sposa solo mediante una sorta di simpatico giuoco per il quale ciascun pretendente deve scegliere uno scrigno; se viene scelto quello giusto evviva, tutti felici, tra rosa e fior nasce l'amor, se invece viene scelto quello sbagliato... tante care cose e arrivedOrci!
Inutile dire che all'arrivo di Bassanio i due si innnnnammmmmorano e lui riesce a scegliere lo scrigno giusto, quello di piombo, quello più umile, puzzoso e brutto. Quindi, a parte il pessimo gusto di Bassanio per gli arredi di casa (Porzia pensa già a quanto le costerà chiamare un arredatore d'interni una volta sposati) i due possono finalmente coronare il loro sogno e sposarsi sulla spiaggia con ghirlande di fiori e un cane a portare le fedi.
Ma vi è andata male miei cari amici. Infatti arrivano infauste notizie da quel di Venezia.
Nel frattempo, per farla breve, sono successe le seguenti cose:
  • La figlia di Shylock è scappata con un tizio, cristiano per giunta, rubando al padre 2000 ducati e un anello al quale lui pare tenesse molto (oh, son gusti, c'è chi si affeziona ai cani e chi agli anelli);
  • Le navi di Antonio, sulle quali lui faceva conto per ripagare il prestito, pare siano perdute nell'iperspazio;
  • Shylock si frega le mani all'idea di affettare Antonio.
Bassanio a quel punto dice alla bella e nuova mogliettina: vado a comprare le sigarette e torno, stai serena!
Lei gli dice, ok, vai, ma tieni questo anello e non dovrai separartene per nessuna ragione al mondo.
Lui risponde Certo!
Io dico Credici!
Lei, che come tutte le donne è sospettosa, non se la beve e assieme alla sua servetta Nerissa, decide di seguirlo vestita da uomo.
Son cose. 
Arrivata a Venezia, la cara Porzia, va a vedere che sta succedendo in tribunale e scopre che Bassanio è gramo come avvocato quanto come marito.
Shylock infatti non si sta facendo abbindolare dai soldi offerti da Bassanio (che sapete ormai è ricco, visto che ha la moglie ricca) e continua a volere la libbra di carne di Antonio.
Al che Porzia pensa, cià, leviamo dai casini questi babbacchioni e, fingendosi l'avvocato Bellario, impugna il contratto e da ragione a Shylock.
Sì, avete capito bene, gli da ragione. Ma così tanta ragione che gli dice pure che il contratto parla solo e esclusivamente di carne e non di sangue, e quindi deve affettare il piccolo Antonio senza versare una singola gocciolina di sangue, altrimenti il contratto non sarà valido.
Ah-ah!
Shylock, inutile dirlo, ci resta un po' male.
Che poi, giusto per la cronaca, una libbra di carne corrisponde più o meno a mezzo kg, quindi mal che vada gli avrebbe tagliato una mano. Tutto 'sto baccano per una mano... magari era pure la sinistra.
Al che Bassanio, grato all'avvocato per aver salvato il suo amichetto del cuore, gli offre di ripagarlo con qualsiasi cosa egli voglia.
Lui/lei chiede l'anello di cui sopra. 
Bassanio tentenna, Porzia/Avvocato insiste, Bassanio cede e consegna l'anello.
A riprova che la forza di volontà è femmina.
Tornati tutti a Belmonte, Porzia chiede che fine abbia fatto l'anello, Bassanio fa un po' lo gnorri, dice che bho, forse lo ha lasciato in bagno, forse è sul comodino... finchè non confessa.
Porzia a quel punto, prima fa la svenevole raccontando di aver recuperato lei stessa l'anello scosacciando selvaggiamente con l'avvocato, poi, intenerita dallo sguardo spaurito del novello sposo, decide di spiegare lo scherzone.
Bello.
Evidentemente il concetto di “non darlo a nessuno per nessuna ragione” nella mente maschile si trasforma in “non darlo a nessuno per nessuna ragione tranne che ad un tizio sconosciuto che salva il suo BFF da morte certa e dolorosa”.
Willy fa il simpatico
Mah. Contenti loro.  

sabato 25 aprile 2015

E. A. Poe: le sfighe e la morte misteriosa



Edgar Allan Poe, che quando era piccolo si chiamava solo Edgar Poe, nasce a Boston nel 1809. Figlio di due attori, il padre abbandonerà la famiglia nel 1810, mentre la madre morirà di tubercolosi l'anno successivo, giusto per stare certi che il bambino non cresca troppo felice.
Per fargli sperare di poter avere un futuro decente però, viene adottato da un ricco mercante (commerciante di grano, tessuti, tabacco, tombe e schiavi: non necessariamente in questo ordine) che nel 1815 lo porterà con sé in Inghilterra, dove frequenterà la scuola fino al 1820.
Già da ragazzino Edgar non mostra una particolare propensione alla normalità: è ossessionato dalla poesia, dalla musica, parla in rima e uno dei suoi principali divertimenti è servirsi continuamente di anafore, che sarebbero quella figura retorica che ogni volta devo andarmi a cercare perché non mi ricordo mai cosa sia. Per quelli che come me hanno lo stesso problema è quando si ripete più volte la stessa cosa per rafforzarne il concetto: Dante ne era un grande fan.
Anche l'educazione da parte del padre adottivo non gioca a favore della sua normalità: Allan infatti (questo il nome del mercante) passa continuamente da un'educazione severissima a una fatta di coccole e regali costosi.

Dopo l'infanzia passata in Inghilterra Edgar decide di tornare in America, dove si iscrive alla Virginia University, in teoria per studiare letteratura antica e moderna ma in pratica per farsi espellere dopo un anno a causa dei debiti di gioco. A questi anni risale il suo grande amore per la mamma di un suo compagno; il giovane Poe si ritrovava infatti negli anni dell'adolescenza ad avere a che fare con un fenomeno molto comune per ogni teenager ormonato: l'attrazione per la MILF di turno.



Qui sopra una ricostruzione storicamente accurata della mamma dell'amico di Poe.

Ma siamo nel 1821, e le MILF durano poco: motivo per cui il grande amore del giovane Edgar muore, e lui affronta il lutto come qualsiasi altro essere umano affronterebbe la cosa: passa le sue notti a piangere disperato sulla tomba di lei, sotto la pioggia (perché nelle notti di Poe piove sempre).
Finalmente si riprende e arriviamo a quel momento comune nella vita di ogni poeta sfigato, ovvero la fase compongo poesie per donne di cui i posteri non sapranno mai nulla oltre al loro nome di battesimo perché non mi hanno mai cagato neanche di striscio, e di conseguenza non hanno lasciato tracce significative nella mia biografia.
Finalmente si innamora di Sarah, la quale ricambia; tutto sembra procedere per il meglio finché il padre di lei non si oppone al matrimonio e Poe reagisce come tutti noi reagiremmo: componendo un poema epico su un conquistatore turco-mongolo del XIV secolo (Tamerlano).
Nel 1826 abbandona il padre adottivo, il quale lo diserederà nel 1834. Nella cacca fino al collo per via dei debiti di gioco, Poe tenta di arruolarsi nell'esercito statunitense all'urlo di “Sono un eroe romantico, voglio essere come lord Byron!”.

Lord Byron tatticamente immerso nelle sue carte: Dai, Edgar, non scherziamo.
A causa di problemi disciplinari Edgar non durerà però molto nell'esercito, facendosi espellere.


Solo perché bevo, dormo fino a tardi, passo le mie notti al cimitero, scrivo poemi epici quando sono triste, parlo in rima, gioco d'azzardo e non voglio mettermi l'uniforme.

Finalmente capisce che forse il ruolo dello scrittore alienato è più nelle sue corde e si mette di impegno, riuscendo a fare della passione una professione. Nel frattempo, nel 1831, muore suo fratello per problemi di salute legati all'alcolismo. Non ci facciamo mancare niente.
Poe però non demorde e decide anche di mettere la testa a posto e si sposa. Di nascosto. Con sua cugina. Che ha 13 anni.
Poi sua moglie/cugina muore di tubercolosi, e ciao: Poe affoga i suoi dispiaceri nell'alcool.
Se vi state chiedendo: “Ma non era già un alcolizzato?” la risposta è “sì”. Insomma, beve ancora di più. Si dice fosse diventato così povero che dovette usare le lenzuola del corredo matrimoniale come sudario per la moglie, ma secondo me conoscendo il tipo, è stata una scelta stilistica.

Lui poverino ci prova anche a trovarsi un'altra donna, e si fidanza con la poetessa Sarah Helen Whitman, ma la cosa non funziona perché la mamma di lei non approva. D'altra parte chi non vorrebbe uno scrittore pieno di debiti e alcolizzato come marito per la propria bambina?


E va beeene, me ne trovo un altro.
Il 3 ottobre del 1849 Edgar viene trovato a Baltimora, delirante; e qui arriva la parte più misteriosa: il maestro dell'horror infatti indossa vestiti non suoi e continua a ripetere il nome Reynolds. E chi diavolo è Reynolds? Nessuno lo sa.

 Chissà.

Pare che le ultime parole di Poe siano state “Signore, aiuta la mia povera anima”. Non si capisce proprio cosa sia successo e non c'è modo di ricostruirlo perché tutti i referti medici sono scomparsi misteriosamente. Qui ci sono due ipotesi.
I complottisti parlano di cooping: ovvero ipotizzano che il povero Poe sia stato preso, drogato e costretto a votare più volte contro la sua volontà, cosa che spiegherebbe perché indossasse vestiti che non erano i suoi (le vittime venivano travestite per poter votare più volte senza destare sospetti).
Le malelingue parlano invece di “congestione cerebrale”, ovvero un modo carino per dire beveva come una spugna, che diavolo vi aspettavate. Insomma: delirium tremens.

In ogni caso se non avete mai letto nulla di Edgar Allan Poe, fatelo. Se non altro per capire tutte le esilaranti vignette che vi posteremo entro breve sulla nostra pagina facebook.
Ora se non vi spiace andiamo a piangere sulla tomba di qualcuno.



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giovedì 22 gennaio 2015

Isaac Newton, le meridiane, la mela e gli aghi negli occhi.

Il piccolo Isaac nasce il giorno di Natale dell'anno 1642. Suo padre Isaac era un allevatore che si contraddistingueva dagli altri allevatori per la fantasia con cui scelse il nome del figlio. Sfortunatamente però il piccolo Newton non conobbe mai il suo fantasioso papà, poiché morì tre mesi prima della sua nascita. Il bambino nacque in realtà prematuro, ed era così piccolo che sua mamma disse che poteva infilarlo in una tazza, anche se non sappiamo come le sia venuto in mente di provarci. Quando raggiunse i tre anni sua mamma si risposò, andando a vivere col nuovo marito e affidando Isaac alle cure dei nonni.

Isaac non la prese bene e qualche anno più tardi reagì minacciando di bruciare la casa della madre e del patrigno.
Con loro dentro.
Amore di mamma.

Isaac non dovette sopportare il padrino troppo a lungo però, poiché morì anche lui quando il nostro aveva 10 anni, lasciandogli un'eredità mica male con cui poté pagarsi l'istruzione alla King's School. In quegli anni cominciò una relazione sentimentale con la figliastra del padrone di casa, relazione che finì presto, probabilmente perché a Newton piaceva di più guardare meridiane e costruire modellini di mulini funzionanti. In seguito non riuscì più a rimorchiare, poiché utilizzava sempre la solita frase da rimorchio di scarso successo: vuoi vedere la mia collezione di meridiane?
Nel 1658 però la voce della mamma lo chiamò all'ordine:

ISAAAAAC!! SMETTILA DI GIOCARE CON LE MERIDIANE E VIENI AD AIUTARMI COI CAMPI, CHE QUEGLI STRONZI DEI TUOI PADRI SONO MORTI PUR DI NON AIUTARMI.

Isaac, più furbo nel trattare sua madre che nel trattare le altre donne, usò la tecnica più vecchia del mondo:

Ma ma'! Non sono capace!!

Fece così schifo a coltivare i campi che sua madre, rassegnata, cominciò a chiedersi cosa potesse farsene di quel figlio così imbranato. Fortunatamente il preside della scuola le disse: “Signora, guardi, non vorrei essere invadente, ma come dire...ho un po' l'impressione che Isaac Newton sia un filo sprecato come contadino.”
Nel 1661 allora tornò a studiare, e venne mandato al Trinity College, dove si studiava Aristotele.

 "Aristotele? Ma fa così 1650! Io voglio studiare Cartesio!"

Quattro anni dopo però il college venne chiuso per peste, e Isaac decise quindi di isolarsi dal mondo e dedicarsi ai suoi studi: scoprì così le identità di Newton e il metodo di Newton.

 Toh! Si chiamano come me!

Negli stessi anni cominciò a sviluppare il calcolo infinitesimale, in modo indipendente dalle ricerche di Leibniz. Quando Leibniz disse: “ho sviluppato il calcolo infinitesimale!”, qualcuno disse: “Ma Newton l'ha fatto prima di te!” “Ma non l'ha pubblicato!” “Newton! Perché non l'hai pubblicato se l'hai studiato?!” “Mi vergognavo! Avevo paura che mi avreste preso in giro.” “Ma sei matto? Sei un genio!”
E fu così che Newton si fece arrogante e cominciò l'eterna battaglia fra i due per decidere chi l'avesse sviluppato prima.
Leibniz: “Sono stato io!”
Newton: “No! Io!”
Leibniz: “No! Io!”
Newton: “No! IO!”
E così via fino a quando Leibniz non morì e Newton esclamò: “Ah-A! HO VINTO!”

"Sarà, ma la mia parrucca è più bella."

A sottolineare la grande maturità con cui Newton affrontava i dibattiti, quando pubblicò i suoi studi sull'ottica e Robert Hooke glieli criticò, Newton decise di ritirarsi dal dibattito e odiarlo dal suo angolino, scrivendogli però in una lettera: “Se ho visto più lontano è stato perché stavo sulle spalle dei giganti....maledetto nano che non sei altro.”
Sembra che Robert Hooke fosse piuttosto basso.

Una volta, il giovane Newton, ipotizzando che il colore derivasse dalla pressione sull'occhio, decise di infilarsi un ago in un occhio per poter picchiettare sul retro, notando: “WOW, vedo dei cerchi bianchi e neri, che sballo!”.

Ma arriviamo al 1666, l'anno della faccenda della mela. Il nostro Isaac se ne stava tranquillo e felice sotto a un melo quando una mela si staccò e andò a cadergli in testa. Non potendo diventare più matto di quello che era già per il colpo in testa, ebbe un'illuminazione: ma se questa mela mi cade in testa, com'è che la Luna non cade sulla testa della Terra?
E questa è la parte dell'aneddoto famoso. Quello che però non si dice è che Newton cominciò a fare tutti i suoi calcoli e le sue teorie, ma dopo essersi reso conto di avergli sbagliati reagì all'incirca così:

 "Ma allora andate a cagare! Non mi interessa più!"

Ci vollero 12 anni prima che si convincesse a tornare sui suoi passi e 21 anni prima che si convincesse a pubblicare le sue scoperte: diede così finalmente alle stampe i Principi matematici della filosofia naturale.
Newton divenne famoso. Si ritrovò circondato da ammiratori e fra questi finì per stringere amicizia con un matematico svizzero di nome Nicolas Fatio de Duillier. Il rapporto fra i due – pare – diventò quasi morboso, fino a quando nel 1694 Fatio non se ne andò, e Newton reagì con un bell'esaurimento nervoso.
Per riuscire a risollevare il morale di questo grande genio, gli si offrì un posto alla Zecca Reale, di cui divenne direttore nel 1699. Anche qui si fece notare per l'importanza e le innovazioni delle sue idee.

Fu inoltre membro del Parlamento, e in quanto tale fece un unico ma fondamentale intervento:

Newton ormai anziano che con tutta la sua fierezza interviene nell'importante discussione in parlamento con la seguente osservazione: “Fa freschetto, non possiamo chiudere la finestra?”

Morì all'età di 84 anni, nel 1727, e nonostante il suo caratteraccio (gira voce che abbia riso una sola volta in tutta la sua vita) fu salutato con grande dispiacere. Le testimonianze dicono che ebbe un funerale degno di un re. 
Il suo epitaffio recita:
“Si rallegrino i mortali perché è esistito un tale e così grande onore del genere umano!”
Quando il suo corpo fu riesumato e si trovarono grandi quantità di mercurio fra i suoi capelli, un sospetto colse i presenti.
“Oh ma magari non aveva davvero un brutto carattere, magari era impazzito per via del mercurio inalato durante gli esperimenti!”

Certo è che a 4 anni comunque voleva bruciare la casa con la madre dentro, quindi io mi terrei il beneficio del dubbio.

Una cosa è certa: Newton, al di là della sua follia (più o meno reale) fu sicuramente un genio in diversi campi. Per questo motivo vogliamo portare la vostra attenzione su due grandi insegnamenti che la sua biografia ci regala: il primo riguarda il fatto che, per sua stessa ammissione, la cosa più complicata di cui si sia mai occupato fu lo studio della cronologia antica. Sì. Una questione storica. Tiè.
La seconda invece è che non importa che tu sia stata una delle più grandi menti della storia, in nessun caso vuoi vedere la mia collezione di meridiane è un buon modo per approcciare una donna.